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"Accura unni metti i peri..."

Vincere la mafia: una vittoria possibile?

 

Due testimonianze ci dimostrano che l'orizzonte della vita è oltre il dolore e che lì dove vivono uomini portatori di amore, condivisione e giudizio, uomini "veri", la mafia pur provocando morte e dolore, viene sconfitta.

Gli articoli sono stati scritti dagli alunni della classe 3°B con il supporto delle professoresse E.Anzà & L.Manta.
 

   Giuseppe Montalbano: storia di un uomo, della sua morte e di una rinascita

 

La famiglia Montalbano ogni anno coinvolge i ragazzi della scuola media di Camporeale a lavorare nella realizzazione di elaborati grafici, attraverso la modalità artistico-letteraria a loro più consona, a partire da un tema assegnato ad inizio anno, nell’ambito di una borsa di studio erogata per ricordare il padre, dott. Giuseppe, ucciso dalla mafia.

Tutto iniziò il 18 novembre del 1988 a Camporeale, dove il dottore Giuseppe Montalbano venne assassinato in un agguato mafioso da un commando di fuoco composto da G. Brusca, B. Montalbano, S. Di Matteo, G. Agrigento e Di Maggio. Ma perché uccidere un semplice medico conosciuto ed amato in tutto il paese?

Il dottore Montalbano, trent’anni prima, vincitore del concorso per ufficiale sanitario presso il Comune, si era trasferito lì insieme alla moglie. Ben presto divenne non soltanto un medico stimato ma anche un amico di cui tutti potevano fidarsi, infatti, il suo ambulatorio era sempre aperto e lui disponibile ad ogni ora del giorno e della notte.

Presso lo stesso Comune lavorava, come tecnico, il geometra Biagio Montalbano -infelice omonimia!- che faceva parte di una cosca mafiosa capeggiata da Giovanni Brusca ma considerato dal dottore innocuo, “un nuddu immiscatu cu nenti”: questo disprezzo il dottore lo manifestava a causa del comportamento poco corretto e arrogante di Biagio Montalbano, che spesso gli richiedeva l’apposizione di firme su documenti che lui non approvava.

Per tale motivo, sentendo di perdere la sua autorità nel paese, Biagio Montalbano chiese il permesso a Brusca di uccidere Giuseppe ma soltanto dopo continue insistenze lo ottenne. Inizialmente nessuno ebbe idea di chi potesse essere stato ad ucciderlo perché il dottore era amato da tutti. Le indagini proseguirono per ben dieci anni, finchè venne arrestato Santino Di Matteo, che nel primo maxiprocesso confessò l’accaduto e che dovette subire l’uccisione del figlioletto di dodici anni, fatto sciogliere nell'acido da Brusca. Del resto, per loro uccidere un uomo è come per noi uccidere un moscerino!

Brusca e Biagio vennero condannati all’ergastolo mentre Di Matteo e Di Maggio, per avere collaborato, ebbero una riduzione della pena.

Ma non finisce qui: la moglie e i tre figli del dottore Montalbano non si sono fermati soltanto a chiedere giustizia, bensì hanno desiderato che questa esperienza, pur portatrice di grande dolore, divenisse un’occasione di rinascita e di diffusione di una nuova cultura, incentrata sul rispetto della persona umana e della sua libertà. Ma cosa potevano fare?

Oltre a fare erigere subito una grande croce visibile a largo raggio sul luogo dove fu ritrovato il corpo, hanno pensato di coinvolgere le future generazioni del paese attraverso la borsa di studio “dott. Giuseppe Montalbano”, sopra citata. Ogni anno, fra gli eventi previsti in quest'occasione vi è la passeggiata “Accura unni metti i peri…” che porta i partecipanti dopo un cammino di 7 Km per i campi che circondano Camporeale, alla contrada Macellaroto, il luogo in cui il 18 novembre avvenne il fatto. A questa passeggiata partecipano tutti: l’atmosfera è quella della gita scolastica in un clima di sobrietà, in cui, sullo sfondo della spettacolare campagna siciliana, si parla, si chiede, si spiega, si scherza e si ride.

Inoltre il Comune, dopo molte richieste da parte della famiglia di un riconoscimento per il padre, ha intestato la  biblioteca comunale al dottore Montalbano: ciò è stata l’occasione per realizzare un’altra importante iniziativa, la “Merenda in biblioteca”, utile per incontrare i bambini: si legge, si realizzano attività manuali legate ai prodotti del territorio e si fa merenda insieme, per rendere vivo un luogo normalmente poco frequentato dai giovani.

L’impegno tutt’oggi costante della famiglia Montalbano, il consenso e la viva partecipazione di tutti coloro che li incontrano, li rendono sempre più consapevoli che in questa circostanza le vere vittime non sono state loro ma quelli che si sono macchiati dell' atroce delitto e che trascorreranno la loro vita privi della libertà.

                                                                                                                                                   Gli alunni della 3^B

 

 

 

 

 

Come ha fatto ad affrontare un dolore così grande?

Per me è stato come se mi avessero strappato un pezzo del mio corpo, ma strappato nel vero senso della parola! Tuttavia, non dobbiamo mai dire fine ma andare avanti, come un compito da affrontare. Si sa che un genitore ad una certa età dovrà morire e ciò procura tristezza, ma sapere che è stato ucciso dalla mafia quando avrebbe potuto vivere per molto tempo, ti da ancora più tristezza.

 

Come reagì il paese?

Il paese era a lutto, si sentiva che mancava qualcuno, un amico di famiglia ma, soprattutto, un padre di famiglia. E poi io fui l’ultimo a sapere ciò, perché prima non esistevano i telefonini e  non ero a casa, mi trovavo all’università a preparare una festa di inizio anno per le matricole.


Ha avuto paura dopo l’assassinio che potesse succederle qualcosa?

No, non ho mai avuto paura che mi potesse succedere qualcosa.

 

Chi dirigeva la mafia del paese?

In quei territori tra Camporeale e San Giuseppe Jato l'organizzazione mafiosa era retta da Giovanni Brusca, ora in carcere.

 

Cosa la spinge a lottare e ad andare avanti?

Non mi sento di lottare ma di vivere testimoniando l’accaduto. Il mondo deve essere un luogo bello e giusto dove crescere e per realizzarlo basterebbe che ognuno facesse il proprio dovere, il proprio lavoro normalmente; e questa è una cosa che possiamo fare tutti.

 

Dopo l'accaduto, nel paese è cambiato qualcosa?

Gli anni successivi alla morte di mio padre sono stati segnati da altri omicidi pesanti, quindi all'inizio no, ma dopo il 2000 si è iniziata a creare una mentalità nuova, dovuta anche al fatto che si parlava della mafia con maggiore libertà.

 

Ha mai pensato di scrivere un libro?

Sì, a volte, forse in futuro, per adesso scrivo qualcosa, ho una pagina facebook, lì c’è un pò di tutto sulla sua vita e sulle edizioni delle borse di studio consegnate, etc.

 

Come spiegherebbe il significato di mafia ai suoi figli?

La mafia è quell’atteggiamento per cui non hai ottenuto qualcosa legalmente, con il tuo impegno, ma l'hai presa con la prepotenza, l’hai rubata!

 

Che sentimenti prova verso i mafiosi?

Provo una grande tristezza per la loro umanità inesistente!

 

C’è stato un punto di riferimento che ti ha fatto andare avanti?

Crescendo e maturando con il tempo si capiscono meglio tante cose; per esempio abbiamo fatto costruire la croce nel luogo del delitto per dire sì a Qualcuno, e non tirarci indietro ma andare avanti.

 

Cosa pensa di Biagio?

Che sia una persona meschina, ma spero che un giorno apra gli occhi al mondo e possa rendersi conto di ciò che ha fatto.

 

Cosa ha provato quando hanno condannato all’ergastolo i mafiosi?

Penso che l’organizzazione civile funziona ancora e che esiste una giustizia terrena e questo deve essere di  conforto per tutti coloro che hanno subito delle violenze.

 

Perché racconta la storia di suo padre nelle scuole?

Perché la scuola è come un seme, che se è buono fa crescere un albero buono, quindi, nelle scuole bisogna piantare quel seme per far crescere una società più giusta.                                

                                                                                                                     F.La Bua, D.Mannino

 

 

 

 

 

 

                                                 

 

 

 

 

 

Ucciso dalla mafia senza combatterla!

 

                                       

Testimonianza di Giusi Pomara, una bambina/adolescente al seguito di Don Pino Puglisi

 

L'esperienza di Giusi inizia negli anni Settanta a Godrano, in provincia di Palermo, dove arrivò un giovane prete chiamato "u Parrinu": un uomo basso, con le orecchie "a paracqua" e "chi càvusi", perchè non portava la tonaca.

Si trattava di una persona molto simpatica, che giocava con i bambini, i quali la sera, spesso, lo andavano a trovare in canonica. Dedicava tanto tempo ad ascoltarli, a capire i loro problemi e ad aiurtarli come poteva, tanto che i bambini facevano a gara per andare a confessarsi da lui.

In paese era presente anche un gruppo di bambini appartente alla comunità cristiano-evangelica, che giocava sempre separatamente da quello che stava con Don Pino che sembrava divertirsi davvero tanto! Ciò li portò a chiedere di poterne fare parte e furono bene accolti.

Quando Giusi a 7 anni fece la prima Comunione, si aspettava di incontrare Gesù, perchè tutti le avevano detto che quel giorno lo avrebbe visto. Purtroppo ciò non accadde perchè era una bambina e credeva che incontrare la persona di Gesù fosse vederla in carne ed ossa.

Da quel giorno, non dandosi per vinta, continuava ad andare in chiesa per cercarlo, fino a quando, non trovandolo, decise di raccontare tutto a Padre Pino Puglisi. Lui le rispose che avrebbe dovuto cercarlo in tutto e in tutti. Questo messaggio ha segnato la sua vita, servendole da insegnamento.

Altro episodio significativo, come ci testimonia Giusi, riguarda la presenza in Chiesa degli abitanti di Godrano: poche donne e nessun uomo! Questo colpì don Pino che, approfittando della stagione estiva, decise di celebrare la Messa la sera ed in piazza, in modo da impedire che gli uomini si sedessero in fondo alla Chiesa.

A Godrano già qualche anno prima dell'arrivo di don Pino era scoppiata una faida tra due famiglie mafiose: ci furono molte vittime e, cosa peggiore, crebbe la tensione sociale in paese perchè tutte le famiglie erano in qualche modo imparentate e ognuna di loro aveva una vittima o un assassino.

Allora don Pino pensò di organizzare delle riunioni serali di preghiera a cui ogni famiglia avrebbe dovuto invitare i propri vicini: accadde così che una donna, scivolata a causa della pioggia davanti alla porta di una famiglia rivale, fosse aiutata e abbracciata dalla sua "nemica".

Successivamente Don Pino venne trasferito a Brancaccio, quartiere difficile di Palermo, in cui molti ragazzi erano nelle mani della mafia: spaccio di droga, furti, delinquenza spicciola erano all'ordine del giorno.

Anche qui don Pino, con la sua azione missionaria, cominciò a convertire e a sottrare i ragazzi dalle grinfie della mafia.

La mafia, a questo punto, capì il rischio che correva e decise di eliminarlo.

Il 15 settembre del 1993, giorno del suo 56° compleanno, davanti alla sua casa, don Pino Puglisi venne ucciso. Qualche secondo prima che gli sparassero disse al suo assassino sorridendogli: "Me l'aspettavo!"

Il sorriso con il quale ci ha lasciato è rimasto impresso a vita nella mente dell'assassino che, poco dopo, in carcere si è convertito.

Continua così la missione di 3 P.

 

                                                                                                              E.Auteri, M. Ferrante, D.Mannino.

 

Intervista all'ing. Valerio Montalbano

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